Isaac: avere 12 anni in Peru
12 anni, occhietti vispi, capelli dritti e muscolatura esile, come molti bambini alla sua età. Non fa nuoto e non va all’oratorio. Non possiede un astuccio dell’ultimo eroe in voga e i suoi occhi ti rimandano l’immagine di ciò che forse un bambino non dovrebbe mai vivere.
Nella piccola stanza destinata alla psicologia è la polvere che fa da protagonista. Pochi colori e fogli di lavoro è tutto il materiale di lavoro a disposizione e l’acre odore di una stanza senza finestre coperta da strati, ormai troppo vecchi, di cemento fa da scenario.
Spalle curve e postura remissiva/dimessa, poche parole e l’aspetto di un bambino che non ha mai avuto nessuno che pensasse a lui.
Date le difficoltà di comunicazione con Isaac, passo alla lettura della sua cartella, foglio dopo foglio le stesse, pesanti, quasi assordanti parole estrapolate dai verbali di polizia assistenti sociali e chi per loro, si ripetono: “Bambino in evidente stato di abbandono…Isaac lasciato solo a se stesso, inizia a mettere in atto cattiva condotta, uscendo rubando e creando problemi al vicinato.”
Un silenzioso incontro, ma nel silenzio c’era comunque un messaggio significativamente comunicativo. Ci scambiammo poche parole intervallate dai miei sorrisi al bambino come unico strumento di rassicurazione e contatto oltre ad ogni cultura. Fu forse questo rispetto al suo dolore che mi permise di avere con lui un secondo incontro, un terzo…e cosi via per tre mesi…
Ci fu un punto di inizio, un piccolo momento nel quale Isaac iniziò a parlare e quel chiavistello che aveva chiuso il mio ingresso nella sua vita, si aprì. Stava disegnando una casa, una casa senza finestre, né porte, né camini fumeggianti, una casa geometrica e fredda, testimonianza di quanto poco affetto si circondasse a casa sua. Da lì, mi confidò che a casa lui non stava bene.
Nasce da una famiglia ricostruita da dinamiche familiari disfunzionali. È il secondo di tre figli, pochi conoscendo la media sud americana, ma abbastanza per essere trascurato e maltrattato.
Nasce a Tingo Maria, un piccolo centro nella Selva, nel quale la criminalità, la poca scolarizzazione, le condotte a rischio e le dinamiche familiari arcaiche sono all’ordine del giorno: i figli nelle famiglie son tanti, devono provvedere ai fratelli e al mantenimento della casa. Spesso nati da adolescenti non ancora in grado di provvedere a loro stessi.
Ha sempre vissuto con la mamma che l’ha avuto a 18 anni, il patrigno, la sorella maggiore e la sorella minore (nata dal matrimonio ricostruito).
Del papà biologico non sa niente, se non che non ha voluto riconoscerlo; le cattive parole cariche di disprezzo nei confronti di quel padre che l’ha rifiutato si esprimono chiare e decise dalla bocca del piccolo miste ai sensi di colpa come se fosse sua la responsabilità del mancato rapporto con il papà.
Un “un papà buono a nulla ed ubriacone” così dice lo definisce il piccolo, che malauguratamente non ha lasciato posto a una figura paterna migliore. Il secondo papà, Richard, lo maltrattava in quanto uomo di casa che doveva comportarsi da uomo, ma come può un bambini di 12 anni comportarsi da uomo? Isaac racconta che doveva provvedere al trasporto d’acqua dal pozzo a casa, un tragitto complessivo di 2 ore e se ciò non veniva fatto come il padrigno diceva, erano botte. Botte con bastoni, cinte o “tutto ciò che si ritrovava sotto mano”. Le lacrime scendono lente quando racconta quei momenti, momenti in cui una mamma inerme non interveniva, si metteva in un angolo con la testa china e permetteva tutto ciò, perché anche lei a sua volta era vittima delle punizioni di quell’uomo che a causa di problemi di alcol, povertà e sofferenza scaricava tutto su ciò che aveva intorno.
Dopo anni di soprusi Isaac scappa. Scappa forse per essere inseguito ed abbracciato da quella madre che però lo lascia andare e come un cane randagio vive il giorno da ladruncolo e la notte da clochard dormendo per strada. È proprio per strada che viene notato dalla Polizia e inserito in un regime di sicurezza di minori. Finisce così in casa famiglia nel Novembre 2014, i genitori vengono interrogati e viene valutata la condizione psicofisica del ragazzo, dall’iter ne emerge che il bambino non può tornare a casa anche perché è la mamma che esprime chiaramente di non volerlo lì. Per povertà? Per protezione? Questo non lo sappiamo perché non abbiamo avuto la possibilità di incontrare la mamma, i genitori hanno la possibilità di incontrare nella casa famiglia i bambini in presenza o non della psicologa o del personale della casa, ma la mamma di Isaac non ha mai fatto visita al piccolo.
Sappiamo però che Isaac ha iniziato ad andare a scuola , che ora ha degli amici e inizia a vivere in modo spensierato, portandosi dietro i macigni delle violenze subite e di una famiglia che forse non lo meritava. Grazie all’aiuto del centro cattolico Aldea Infantil, di Padre Osvaldo, dei volontari stranieri e non forse Isaac potrà avere un futuro migliore.